La Psicologia Giuridica è una disciplina applicativa che si propone quale elemento di connessione tra psicologia, scienze umane e diritto.

Lo studio si occupa principalmente di psicologia forense, che costituisce un’area della psicologia giuridica che si occupa dei processi psicologici legati a diversi aspetti della dimensione giuridico-forense.

Lo psicologo forense è un professionista che oltre ad avere un’approfondita conoscenza della teoria dello sviluppo psicologico individuale – normale e patologico – e una conoscenza delle dinamiche di gruppo e delle dinamiche e strutture familiari, conosce anche le leggi e il contesto culturale e professionale in cui gli operatori del diritto si muovono.

Riesce quindi ad usare le specifiche tecniche, gli strumenti di indagine, gli strumenti diagnostici e di intervento propri della psicologia, applicandoli a questioni inerenti il diritto, sempre tenendo in considerazione la complessità e l’interdisciplinarietà del contesto in cui opera.

Lo psicologo forense è dunque una figura capace di rivestire ruoli diversi a livello consulenziale,  il cui contributo viene richiesto quando si ritenga essenziale lo svolgersi di indagini e accertamenti condotte da un soggetto con specifiche competenze tecniche, teoriche e metodologiche (art.61 c.p.c., art. 220 c.p.p.) sia in ambito civile sia in ambito penale.

L’Ordine Nazionale degli Psicologi, facendo riferimento alla classificazione EUROPSY, definisce lo psicologo forense e giuridico come  “colui che si occupa dei processi cognitivi, emotivi e comportamentali aventi rilevanza per l’amministrazione della giustizia, con riferimento alle persone intese sia come autrici di reato sia partecipanti al processo giudiziario in qualità di imputati, testimoni, parti lese, avvocati e giudici.” Le applicazioni delle conoscenze e dei metodi di psicologia clinica al contesto giudiziario costituiscono un ausilio sia per l’emissione di sentenze sia per tutelare interessi di parte. Mi riferisco, ad esempio, all’assessment e alla diagnosi psicologica, alla valutazione della personalità, dell’imputabilità e responsabilità penale di adulti e minori, alla valutazione e quantificazione del danno psichico ed esistenziale, alla valutazione di minori e del contesto familiare, all’assessment di minori autori di reato, alla valutazione dei minori e delle capacità genitoriali in casi di affidamento per separazione o divorzio, alla mediazione e risoluzione dei conflitti, alla valutazione per lo sviluppo di percorsi di riabilitazione e reinserimento sociale e lavorativo di autori di reato, ecc.

 In generale, lo psicologo forense svolge in qualità di Perito, in ambito penale, perizie su nomina del giudice o, in ambito civile, consulenze tecnico-giudiziarie in qualità di CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio), Consulente Tecnico del Pubblico Ministero (CTPM) o, di Consulente Tecnico di Parte (CTP) su nomina degli avvocati di parte. Nella sua opera professionale, lo psicologo forense deve rispettare non solo il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani ma anche alcuni documenti che sanciscono le linee guida nell’ambito della psicologia giuridica, tra cui la Carta di Noto del 1996 e i relativi aggiornamenti 2002 e 2011 e le Linee guida deontologiche per Psicologo Forense dell’Associazione Italiana Psicologia Giuridica (Torino, 1999).

Nella sua attività forense, lo psicologo dovrà sempre attenersi al quesito posto dal sistema giudiziario, la sua attività sarà quella di tipo valutativo, escludendo qualsiasi attività terapeutica nell’ambito di una perizia o di una consulenza. L’atteggiamento guida da adottare dovrà essere quello “falsificazionista” (Popper, 1986)

Questo approccio garantisce infatti allo psicologo di non fossilizzarsi su eventuali informazioni pregiudiziali o di non fare assoluto riferimento al proprio paradigma, ma di confutare e vagliare razionalmente ogni possibilità con lo scopo di avvicinarsi il più possibile a una valutazione oggettiva.  Egli dovrà comunque tenere a mente che non dovrà sovrapporsi al ruolo del Giudice, ovvero, potrà esprimere un parere in termini di probabilità o compatibilità, non certo di assoluta verità, fornendo agli interlocutori (giudici, avvocati, colleghi psicologi, psichiatri ecc..) elementi oggettivi per valutare e comprendere il suo operato e di conseguenza le sue conclusioni. Il suo ruolo è quindi di concorrere, assieme alle altre figure, nel fornire al Giudice il numero maggiore di elementi utili ad esprimersi nel modo più corretto possibile.

Lo psicologo forense è chiamato a valutare il danno alla persona nelle sue dimensioni di

  1. danno psichico, danno biologico di natura psicologica o danno psicologico: rappresenta un’alterazione dell’integrità psichica e dell’equilibrio di personalità provocata da un evento traumatico di natura dolosa o colposa, limitando fortemente l’esplicazione di alcuni aspetti della personalità nel regolare svolgimento della vita Il danno è comunque sempre provocato dalla correlazione tra l’evento traumatico e la struttura psichica di base dell’individuo;
  2. danno esistenziale: costituisce una nuova voce in tema di danno risarcibile che delinea“la compromissione della qualità della vita normale del soggetto o uno stato di disagio psichico che non arriva a configurarsi come un quadro clinico patologico” (Pajardi, Macrì, Merzagora Betsos,). Il danno esistenziale pone l’individuo innanzi ad un cambiamento negativo e duraturo dello stile di vita cagionando un peggioramento della qualità della vita stessa.
  3. danno morale: consiste nel turbamento soggettivo patito, un dolore, un disagio, una sofferenza psico-fisica che si manifesta come danno-conseguenza all’evento lesivo di natura transitoria destinata ad essere riassorbita in un breve lasso di tempo senza lasciare conseguenze di tipo patologico.

Se pur dotati di vita propria, autonomi e indipendenti il danno biologico, morale ed esistenziale non vanno identificati come compartimenti stagni bensì come elementi che possono essere compresenti e sovrapporsi all’interno della classificazione di danno non patrimoniale.

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